martedì 15 dicembre 2009

sabato 12 dicembre 2009

martedì 8 dicembre 2009

Berlusconi e i giudici

Berlusconi aveva detto che avrebbe fatto vedere ai giudici di che pasta era fatto.
Allora, perché non lo fa ? Perché li sfugge?

domenica 15 novembre 2009

Incredibile, ma vero

Qualunque cosa dica Berlusconi, i suoi uomini sono sempre d'accordo.
Non sbaglia mai. Più del papa ha il dono dell'infallibilità.
Me che non sia arrivato il Messia e non ce ne siamo accorti?

sabato 7 novembre 2009

Ieri e oggi

Improntare il giornale a ottimismo, fiducia e sicurezza nell'avvenire. Eliminare le notizie allarmistiche, pessimistiche e deprimenti. (Benito Mussolini)

sabato 1 agosto 2009

Sotto l’ombrellone accanto a un morto

L’indifferenza dei bagnanti: c’è chi spalma la crema e chi si tuffa

Il cadevare di Antonio Sommaripa nella spiaggia della Mappatella
Il cadevare di Antonio Sommaripa nella spiaggia della Mappatella
C’è un ombrellone rovesciato sulla battigia sotto il quale è adagiato il cadavere di un uomo interamente coperto da un lenzuolo e da un asciugamano. A un paio di metri, una borsa e una sedia da bar vuota. Siamo sulla cosiddetta Mappatella Beach, pieno lungomare di Napoli, su via Caracciolo, dove ai napoletani piace fare il pic nic.

Quel che è successo, si può anche raccontare dopo, ma sono le fotografie a colpire per prime. Intorno al corpo senza vita, c’è una spiaggia estiva moderatamente affollata: una donna dalla schiena abbondante di pieghe che spalma la crema sulle spalle di una signora con cappellino bianco, un gruppetto di uomini che sembra chiacchierare le mani incrociate sul dorso, chi continua a prendere la tintarella, chi si sistema sulla sdraio, chi stende il suo telo sulla sabbia, chi si bagna i piedi, chi legge, un ragazzino che corre a tuffarsi nel mare calmissimo. C’è anche un cane accucciato dietro una sedia. Agghiacciante normalità da solleone. Normalità con morto. Solo un bambino e un anziano poco distanti gettano uno sguardo a quell’uomo disteso sotto il lenzuolo, con un’aria di attesa, le mani sui fianchi.


Corriere.it 31/07/09

sabato 25 luglio 2009

Phoenix, stuprata bimba liberiana E i suoi genitori la ripudiano

Vicenda-shock negli Usa: la piccola, 8 anni, violentata da un gruppo di ragazzini
La famiglia decide di darla in affidamento. Protesta anche la presidente liberiana
Phoenix, stuprata bimba liberiana
E i suoi genitori la ripudiano


NEW YORK - Stuprata a otto anni dai compagni di giochi, e adesso la sua famiglia non vuole più avere niente a che fare con lei. E' accaduto a Phoenix, in Arizona: protagonista - e vittima - una bambina liberiana ripudiata dai genitori e data in affidamento, dopo che quattro ragazzini di poco più grandi di lei le hanno usato violenza, adescandola con l'offerta di una gomma da masticare.

L'incredibile vicenda - lo stupro, la reazione dei familiari - ha scatenato un moto di indignazione internazionale: ha protestato anche la presidente della Liberia, una donna, stigmatizzando il comportamento della famiglia e di una cultura ancora diffusa nel suo paese. Lo stesso da cui provengono anche i quattro giovanissimi stupratori. "La famiglia ha sbagliato: avrebbero dovuto aprire le braccia a una bambina traumatizzata e collaborare con le autorità americane per capire cosa fare con i quattro responsabili", ha detto la presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf in una intervista alla Cnn.

I quattro autori della violenza hanno età comprese tra i nove e i 14 anni. Steven Tuopeh, il maggiore, vive negli Stati Uniti dal 2005 ed è stato rinviato a giudizio come adulto per stupro e rapimento, mentre gli altri dovranno presentarsi davanti al tribunale dei minori per aggressione a sfondo sessuale. I quattro, dopo aver adescato la bambina in un capanno, l'hanno violentata a turno per 10-15 minuti. Qualcuno ha dato l'allarme: quando la polizia è arrivata, ha trovato la ragazzina seminuda che urlava istericamente e il branco degli stupratori in fuga.

Ma al di là dell'orrore, la vera sorpresa per gli agenti è stata la reazione del padre: "Ci ha detto: prendetela, non la voglio più in casa", ha raccontato il sergente Andy Hill. In Liberia lo stupro viene spesso vissuto come una macchia dalla famiglia della vittima: la Sirleaf ha cercato di cambiare questa cultura rivelando di esser stata lei stessa vittima di tentate violenze sessuali durante la guerra civile che fino al 2003 ha insanguinato il paese. Secondo esperti della condizione della donna nelle nazioni paesi in via di sviluppo, la reazione dei genitori della piccola vittima anche troppo comune: "Le donne, le ragazze, sono quelle a cui viene data la colpa", ha detto Monica Westin, fondatrice di World Hope International.

Nei giorni scorsi, l'amministrazione Obama ha fatto un passo importante sul piano del diritto, avallando la richiesta di asilo politico di una donna messicana vittima di violenza domestica. L'asilo può essere concesso alle donne vittime di gravi violenze fisiche o sessuali che non possono sfuggirvi a causa della cultura del loro paese, ha indicato il ministero della Sicurezza interna a un tribunale dell'immigrazione che ha esaminato il caso.

(25 luglio 2009) La Repubblica

sabato 18 luglio 2009

il calcio oggi

"Stando a quanto riportato dai principali quotidiani locali sabato 11 luglio, sembra che la città di Catanzaro abbia corso nei giorni passati un grossissimo rischio, un rischio che per fortuna è stato scongiurato e di cui non eravamo proprio al corrente. Sembra, infatti, che si sia evitata, con un intervento definito dagli stessi giornalisti “encomiabile” da parte del sindaco della città e di altre istituzioni, la scomparsa di un bene preziosissimo per l'intera città, più prezioso di qualsiasi risorsa naturale, ambientale, culturale, intellettuale, umana si possa immaginare, un bene assolutamente irrinunciabile, un bene cardine per l'economia di questa città e per il suo sviluppo futuro: la squadra di calcio.
La chiusura di una fabbrica, la constatazione di un disastro ambientale, l'avvento di un terremoto, di uno tzunami o di un uragano, il flagello di una pestilenza, l'influenza aviaria o suina, nessuna di queste catastrofi si sarebbe potuta paragonare a quella di fronte alla quale ci saremmo ritrovati se questi “salvatori” non fossero intervenuti per scongiurare il disastro.
Stando sempre a quanto riportato dai giornali decisivi sarebbero stati, tra gli altri, i contributi della Camera di Commercio di Catanzaro e del Comalca (130.000 euro), del Comune di Catanzaro (125.000 euro) e della Provincia di Catanzaro (30.000 euro) a favore del club giallorosso. Ma “i contributi alla salvezza” non sarebbero finiti qui: è lo stesso sindaco Olivo ad affermare orgogliosamente in un'intervista pubblicata su Il Quotidiano: “abbiamo speso, insieme alla Regione, una somma pari a 2,2 miliardi di euro per riammodernare il Ceravolo che adesso si presenta come uno degli impianti più suggestivi d'Italia.”
Da quando, come afferma Eduardo Galeano nel suo “Splendori e miserie del gioco del calcio”, quello che fino a qualche decennio fa poteva essere considerato uno sport si è trasformato “in spettacolo con molti protagonisti e pochi spettatori, calcio da guardare, e lo spettacolo si è trasformato in uno degli affari più lucrosi del mondo, che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi”, tutte le operazioni volte alla salvezza delle società che contribuiscono a tenere in vita il suddetto spettacolo sono quantomeno criticabili se non proprio condannabili.
A maggior ragione quando in queste operazioni “salvezza” (della società e dei suoi soci e non del calcio cittadino come si vuol far credere illudendo i tifosi), vengono impiegati soldi della collettività, sia di quella che va allo stadio (minoranza) sia di quella che non ci va (maggioranza). I contributi elargiti da Comune e Provincia, infatti, pretendono chiarezza al cospetto dei cittadini che pagano le tasse e che, in un periodo di crisi economica eccezionale, paragonabile solo a quella avvenuta nel 1929, sono costretti ad assistere all'ennesimo sperpero di denaro pubblico.
Mentre le piccole e medie imprese rischiano di chiudere, mentre migliaia di lavoratori perdono il proprio posto di lavoro, mentre l'intera regione si trova in emergenza ambientale (e Catanzaro sta per trasformarsi nella prossima Napoli) tra mare inquinato ed incapacità di smaltire l'enorme quantità di rifiuti che ogni giorno produciamo, solo per citare alcuni dei temi più gravi e attuali, il “primo encomiabile cittadino” pare si sia adoperato alacremente per inviare fax agli imprenditori della città per riuscire a scongiurare l'imminente catastrofe calcistica.
Ma non è tutto, in una nota stampa della lista civica “Catanzaro nel Cuore” pubblicata sul quotidiano “Il Domani” del 15 luglio, si arriva addirittura a lodare apertamente: “la grande sensibilità mostrata dall'amministrazione comunale (come non rilevare che ad oggi, oltre ad aver investito la maggior somma spesa per lo stadio Ceravolo negli ultimi 40 anni, la stessa ha elargito per la causa giallorossa, complessivamente, una somma vicina ai 500.000 euro) e da altri enti.... pertanto a tutti questi soggetti va il nostro ringraziamento per la perentorietà e la dinamicità con cui si è affrontata la situazione e per l'alto spirito civico che ha permesso di remare nella stessa direzione al fine di raggiungere l'obiettivo della sopravvivenza del fattore sportivo nella nostra città.” Dimenticando però che la stessa perentorietà e dinamicità non vengono profuse, né dal pubblico né dal privato, in questa città, per salvare le tante altre società sportive, delle più svariate discipline, che conseguono risultati di prestigio nazionale ed internazionale, nell'indifferenza collettiva. Ma queste, evidentemente, non rientrano nell'”obiettivo della sopravvivenza del fattore sportivo” prima indicato.
La verità è che Catanzaro è una città fondata sui legami forti e i legami forti tendono sempre a formare un cerchio ed a stabilire un confine tra chi vi sta dentro e chi vi sta fuori. Una città urbanisticamente e socialmente frammentata in tante piccole enclave estranee tra di loro con lo sguardo rivolto al passato, che vive di ricordi e di passato, (quando l'imperatore Carlo V la definì Magnifica et Fidelissima, quando produceva la seta, quando la squadra di calcio era in serie A, etc.) incapace, invece, di programmare il proprio futuro. In un mondo che cambia molto rapidamente e in cui occorre posizionarsi sul mercato dell'attrattività, per poter essere preferiti, Catanzaro resta in sospeso, sta a guardare, si rifiuta di fare le sue scelte. Si permette di giocare alla stregua di un figlio viziato che sa che papà può permettersi di pagargli tutti i vizi. Ma per quanto ancora? Per quanto ancora dovremo tenere in piedi aziende fallimentari (non solo nel campo sportivo), incapaci di far fruttare e restituire i “contributi alla salvezza”? Fino a quando potranno attingere al pozzo senza fondo dei contributi pubblici? Catanzaro è e rimane il simbolo di quel meridionalismo infantile ed immaturo origine e causa di tutti i nostri mali. Né industriale, né turistica, né artistica, né agricola ma impiegatizia, una città che vive di terziario, di statalismo, di assistenzialismo, in un mondo in cui tutti si affrettano a recitarne il de profundis, ha tutte le carte in regola per decretare il proprio, e ormai prossimo, fallimento".

Da"tuttocatanzaro"

martedì 14 luglio 2009

L'assessore: "Gli stranieri non devono entrare in paese"


Cristiano Borghi (Lega Nord), ammonisce i suoi cittadini "Ma come, vi aiutiamo a sistemare i cortili e voi li affittate agli extracomunitari?". E la polemica si scatena

L'orizzonte è un mare di villette e condomini, l'identità un pugno di cortili storici da difendere ad ogni costo.
Da difendere soprattutto dai nuovi abitanti dei centri storici: gli immigrati che accettano di vivere in poche vecchie stanze. E magari anche di comprarle, per metterci mano. «Vi aiutiamo a risistemare i cortili, ma voi non affittate agli extracomunitari» ammonisce dunque l'assessore. Siamo a Gerenzano, dove il varesotto muore nella conurbazione milanese, capannoni, villette e condomini, paesi saldati gli uni agli altri. Cristiano Borghi, assessore alla sicurezza del Comune, non ha dubbi: «chi ama Gerenzano non vende e non affitta agli extracomunitari». Regolari o irregolari non fa differenza, gli stranieri non devono entrare a Gerenzano.

Il pensiero della giunta è stato messo nero su bianco nell'ultimo numero dell'informatore comunale, "Filo diretto con i cittadini".
«Noi abbiamo chiuso le porte... ma molti gerenzanesi le hanno aperte!» è il titolo dell'articolo, già segnalato da più persone all'Ufficio contro le discriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità. L'assessore Borghi rivendica l'operato della giunta, che ha fatto di tutto per «non favorire» gli extracomunitari: hanno vietato la sosta oltre le 48 ore agli «zingari» (anche a quelli cittadini italiani, parrebbe), hanno messo in campo controlli straordinari sugli alloggi, non hanno mai «favorito gli extracomunitari sotto il profilo dei contributi o dei sussidi economici». Non hanno mai concesso terreni per le moschee, «a differenza di altri Comuni del circondario» dove svettano i minareti. E hanno anche attivato uno sportello per denunciare sospetti irregolari, con garanzia di anonimato per chi segnala. Perchè l'importante, si sa, è che le armi migliori sono le coscienze dei cittadini.

Coinvolgere i cittadini gerenzanesi non deve essere facile, però. I gerenzanesi votano convintamente per la Lega (40% alle ultime elezioni), ma poi razzolano male, affittando agli stranieri le corti del centro. «Abbiamo contribuito - si legge nell'articolo di Borghi - a rivalutare anche dal punto di vista culturale i nostri cortili, attribuendo ad ognuno di essi il vecchio nome utilizzato dai nostri anziani. Per rivalutarli dal punto di vista estetico però devono intervenire i proprietari che, in alcuni casi, piuttosto che mettere mano al portafogli e dare una rinfrescata alle proprie abitazioni, hanno pensato bene di venderle o di affittarle agli extracomunitari». Necessario coinvolgere i cittadini nel controllo della società: ecco perchè il Comune ha attivato uno sportello per denunciare gli irregolari e anche un numero di cellulare a cui segnalare stranieri "sospetti". Regolari o irregolari, sono comunque una minaccia all'identità locale.

Da " Il quotidiano di Varese" 14 luglio 2009





martedì 16 giugno 2009

"Nessun soccorso per il mio Petru in agonia"

La moglie del romeno ucciso: "L'ambulanza solo dopo mezz'ora"
di Cristina Zagaria
«Il mio Petru è stato lasciato morire. C' era una sola ambulanza e ha portato via il 14enne. Mio marito è rimasto a terra per 30 minuti. Se era italiano sarebbe stato diverso, a noi ci lasciano finire così». Parole forti nella denuncia di Mirella, la compagna del romeno Petru Birlandeanu ucciso per errore dai killer della camorra. Un delitto compiuto durante una sparatoria tra la folla avvenuta poco prima delle otto di sera martedì a Montesanto.

«Per 5 minuti ha parlato. Per 10, mi ha guardato fisso negli occhi e, quando io gridavo, lui scuoteva la testa e mi stringeva più forte la mano. Per mezz' ora il corpo di mio marito Petruè rimasto per terra e nessuno ha fatto niente. Ci guardavano tuttie c' era anche chi mi scattava fotografie. È arrivata un' ambulanza, ma non era per noi era per il bambino ferito. Due feriti un' ambulanza sola... per l' italiano». Un' accusa. Lunga trenta minuti. Mirella è spaventata e arrabbiata. Mirella ha poco più di vent' anni ed è la moglie di Petru Birlandeanu, il romeno ucciso per errorea Montesanto. Mirella fumae piange. Fuma e si preme le mani sulla testa. Fuma Winston blu e si accuccia per terra, seduta sul cordolo dell' aiuola davanti all' obitorio, tenendo stretta la mano al fratello. Ernesto Cravero, docente della Federico II, sul sito di Noi Consumatori, conferma il racconto di Mirella: «Ritorno verso il ferito, il poveretto non si muove più, la donna che era con lui piange in silenzio. Sento delle sirene, penso: è l' autoambulanza. No, è una volante. Sono disorientato...eppure l' ospedale dei Pellegrini è lì a 100 metri. Chissà, portarvi quell' uomo a braccia o in barella. Alle 20 gli addetti della funicolare chiudono le portea vetro per isolare quel poveretto che è ancora lì e non si muove più». La sparatoria è avvenuta tra le 19.30 e le 19,40: trenta minuti prima. L' accusa di Mirella è dura: «Se era italiano sarebbe stato diverso. Agli italiani noi romeni facciamo paura e ci lasciano morire». E Mirella, piccola donna vestita di nero, con le ciabatte aperte e due cerchi d' oro alle orecchie, in Italia da tre anni, non trova spiegazione né tregua. «Mio marito è morto per 8 euro. Tanti erano i soldi che aveva in tasca. Tanti i soldi che racimoliamo ogni giorno e spediamo quasi tutto in Romania, dove c' è la mia bambina». Petru e Mirella hanno due figli, la più grande ha 10 anni, il più piccolo ne ha 6 e vive a Napoli. «Ma non lo portavamo quasi mai con noi al lavoro», fa notare Mirella. Lavoro? Petru suonava la fisarmonica sulla Cumana, ma era un calciatore. Mirella mostra la carta di identità del marito e racconta: «Era un centravanti del Poli Iasi, serie A rumena. Amava seguire le partite del Napoli e quando poteva giocava con i bambini, insegnava a giocare a calcio anche agli italiani. Perché Petru era romeno, non rom». Quando pronuncia la parola "italiani" grida: «Gli italiani vogliono ammazzare anche me. Non ho visto niente, niente... ma ero lì e la mafia ora mi sta cercando». Un motorino sfreccia nel viale e lei scoppia a piangere. Un attimo dopo una sirena. Mirella si rannicchia e poi balza in piedi. I rumori della paura fanno affiorare i ricordi: «Siamo alla stazione. Sentiamo gli spari. Petru mi afferra e dice: "Corri". Vedo il sangue, ma lui mi dice che è solo un graffio e che devo correre. Fino alla fine ha pensato a me, a salvare me...a lui non ha pensato nessuno e io non potevo fare niente». Torna la rabbia, appannata dall' impotenza. Ora accanto a Mirella c' è suo fratello, una interprete romena, Elisabeta, Enzo Esposito dell' Opera Nomadi, Federico Zinnae Carlo Parato del Partito Identità Romena della Campania. Chi è accanto a Mirella ha già avviato la domanda in Prefettura (che si è già attivata) perché Petru sia riconosciuto vittima di mafia, mentre il Comune si è offerto di organizzare il trasferimento della salma in Romania. Ma Mirella non riesce a seguire niente. Si prepara a passare la notte piangendo, senza che le sue lacrime sfiorino mai il corpo di Petru, come vuole la tradizione. Telefona in Romania: «Preparate il vestito da sposo di Petru. Deve essere tutto pronto, per il funerale. Torniamo a casa presto, per sempre».
(16 giugno 2009) corriere della sera

domenica 7 giugno 2009

Citazione di Noam Chomsky


Certamente tutti dicono di essere a favore della pace. Hitler diceva che era per la pace. Tutti sono per la pace. La domanda è: quale tipo di pace? (dal discorso a UC Berkeley sulla politica degli Usa nel vicino Oriente, 14 maggio 1984)

giovedì 28 maggio 2009

Russia: trovata bimba di 5 anni allevata da cani e gatti, non parla, ma abbaia

comprende il russo, ma mangia come gli animali

Rinvenuta in un appartamento fatiscente da cui non poteva uscire

MOSCA (RUSSIA) - Una bambina ignorata dai genitori e dai nonni e «allevata» da cani e gatti, di cui ha finito per apprendere il linguaggio: è la storia di degrado scoperta dagli agenti per la protezione dell’infanzia a Tchita, in Siberia Orientale. La bambina, di cinque anni, è stata trovata in un appartamento fatiscente da cui non poteva mai uscire, dove non aveva imparato a parlare e in cui cercava di comunicare abbaiando.

da www.corriere.it

28 maggio 2008


sabato 21 marzo 2009

Orsi polari

La denuncia in Canada, davanti a capitribù ed esperti

Gli esquimesi contro gli ambientalisti

«Peggio dei cacciatori. Inseguono gli orsi in elicottero, sparando il sonnifero con cariche di esplosivo»

dal nostro corrispondente Luigi Offeddu

(Ap)
(Ap)
BRUXELLES - Salvate l'orso polare da chi vuole salvarlo, invocano gli esquimesi Inuit del Canada: cioè da ricercatori e naturalisti. «Non dai cacciatori, che fanno meno danno». Ed essendo proprio loro, gli Inuit, i cacciatori in questione, è certo una testimonianza di parte: gente che vive delle bistecche di plantigrado, difficilmente sarà obiettiva. Però al congresso appena svoltosi nel Grande Nord canadese, davanti ai responsabili di tre dipartimenti federali, ai capi di cinque tribù, e ai docenti di varie università, gli Inuit hanno portato qualche cifra: negli ultimi tre anni, la metà dei 2.100 orsi «censiti» sullo stretto di Davis sono stati inseguiti una o più volte da elicotteri, e addormentati con aghi sparati dall'alto, completi di una piccola carica esplosiva per far penetrare il narcotico sotto la pelliccia. E a parte lo choc, questi inseguimenti avrebbero cambiato le abitudini degli animali.


corriere.it

20 marzo 2009

martedì 10 marzo 2009

Case per anziani

Cosenza, sparizioni e sospetti omicidi
Così si moriva nella clinica degli orrori

dall'inviato ATTILIO BOLZONI


Cosenza, sparizioni e sospetti omicidi Così si moriva nella clinica degli orrori
SERRA D'AIELLO (COSENZA) - C'è una casa degli orrori sulle montagne calabresi. Dove in tanti scompaiono, dove in troppi muoiono. E' un ricovero per derelitti e ripudiati di ogni specie che è diventata reggia per un prete e discarica umana per chi c'è finito dentro. Truffe, imbrogli, saccheggi e ora, ora anche il sospetto di alcuni omicidi. Donne e uomini che non si trovano più. Qualcuno sta indagando per scoprire che fine hanno fatto in ventisette. Dodici sono spariti, per altri quindici l'ombra di una morte violenta. Il luogo del mistero è Serra D'Aiello, paesino di settecento abitanti aggrappato all'appennino aspro che da Cosenza scende a strapiombo verso il mare di Amantea e la piana di Falerna.

La casa degli orrori è nascosta là sopra, in tre casermoni di pietra grigia incastrati uno dentro l'altro che dieci anni fa davano riparo a 900 degenti e oggi a quasi 300. Giovani e vecchi, malati, invalidi, mutilati, paralitici, matti veri e matti presunti, tutti soli dalla nascita o abbandonati dalle famiglie, molti con un piccolo patrimonio personale che è stato inghiottito nelle casse di una fondazione religiosa. Ma dopo i raggiri alla Regione e le ruberie ai pazienti, i carabinieri stanno cercando di ricostruire le "morti sospette". Da qualche mese il sostituto procuratore di Paola Eugenio Facciolla ha formalizzato un'inchiesta su quei 12 scomparsi e su 15 "possibili omicidi". Poi ci sono almeno altri cento casi di pazienti che hanno subito lesioni gravi. E non solo una volta. Gli investigatori ipotizzano che dentro all'istituto Papa Giovanni XXIII avrebbero fatto sparire uomini e donne per appropriarsi dei loro beni.

Ci sono anche un paio di anonimi arrivati ultimamente in Procura che parlano "di un traffico di organi". Quanto sia vera fino in fondo questa storia lo svelerà il futuro dell'inchiesta giudiziaria, intanto però la storia raccontiamola dall'inizio. Dal luglio del 2007. Dal giorno che don Alfredo Luberto è stato sospeso a divinis dopo cinque mesi di arresti domiciliari.
I finanzieri ci hanno messo dodici ore per fare l'inventario delle "cose" trovate nella bella casa di don Alfredo. Disegni di De Chirico, scatole piene di ori e argenti, preziose stilografiche, una rara collezione di orologi, un leggìo scultura di Giacomo Manzù, mobili di lusso, una sauna e una palestra in mansarda. E ci hanno messo qualche giorno per scoprire che quel prete, presidente dell'istituto Papa Giovanni XXIII - casa di ricovero di proprietà della curia arcivescovile di Cosenza nata "per curare malati cronici o con problemi psichici" - era il ras del manicomio lager dove molti pazienti erano trattati come bestie. Nel silenzio di tutti, nell'omertà di un paese intero.

Lasciati per giorni in mezzo alla sporcizia, le zecche in corsia, epidemie di scabbia, letti sgangherati, coperte che non c'erano, finestre senza vetri, cessi che nessuno puliva mai. All'istituto di Serra D'Aiello, negli anni Novanta quasi duemila dipendenti fatti assumere dai politici di ogni colore della provincia, la Regione Calabria versava per ogni ricoverato una retta giornaliera dai 110 ai 195 euro. Quello che lì dentro spendevano realmente per i malati - l'hanno certificato i periti nominati dalla procura di Paola - andava dagli 8 agli 11 euro al giorno. Gli altri soldi se li tenevano don Alfredo e pochi altri. Succedeva di tutto con il denaro che non arrivava mai a chi doveva arrivare. Cinquanta euro al giorno di contributi regionali per l'"assistenza spirituale" o cinquanta euro al giorno per l'"assistenza religiosa", a volte i malati non avevano però neanche da mangiare. L'accusa ha calcolato che in pochi anni gli amministratori della fondazione si sono impossessati di 13 milioni di finanziamenti e di altri 15 milioni di contributi mai pagati. In un primo momento è stato indagato anche l'ex vescovo di Cosenza Giuseppe Agostino ("Avrebbe dovuto vigilare e invece firmava carte per conferire a don Alfredo il dominio perpetuo sull'istituto Papa Giovanni"), poi il monsignore è uscito incolpevole dalle indagini. A rinvio a giudizio - deciso proprio ieri - andranno in 27 per associazione a delinquere e truffa e appropriazione indebita. Il primo della lista è il "prete dell'Harley Davidson". L'altra passione di don Alfredo: le motociclette americane.

Dopo lo scandalo dei soldi sono saltate fuori le cartelle cliniche taroccate. Centinaia sembravano compilate in fotocopia, tutte uguali. Come le diagnosi. Tutte uguali anche quelle. Per chi aveva problemi alle gambe o per chi aveva problemi alla testa. Altre cartelle cliniche non si sono mai trovate, altre ancora hanno fatto partire le nuove indagini sulle morti sospette. "Ci sono casi di fratture multiple mai trattate", racconta un investigatore. La relazione dei periti e, nel settembre del 2008, l'apertura della nuova inchiesta sugli scomparsi di Serra D'Aiello.

Dal 1997 sono cominciati a svanire nel nulla i primi pazienti. E il primo fra i primi è stato un certo Bruno. Poi è toccato a una donna (il suo nome è ancora top secret), poi a Domenico Antonino Pino. Lui aveva ventinove anni, era rinchiuso al Papa Giovanni da dodici. Una notte dell'estate del 2001 qualcuno è entrato nella stanza dove dormiva e se l'è portato via con la forza. Il suo compagno di ricovero ha riconosciuto due uomini in camice, nessuno gli ha creduto. "E' matto", hanno detto. I parenti di Domenico Pino per anni l'hanno inutilmente cercato. Qualcuno dell'istituto è arrivato a dire "che se n'era andato con le proprie gambe": Domenico era immobilizzato da bambino su una sedia a rotelle. Dopo di lui è scomparso un certo Di Tommaso, poi un certo Pollella, poi un certo Tiano. E un altro e un altro ancora. Fino al dicembre scorso. L'ultimo sparito di Serra D'Aiello è un uomo di 68 anni.

"Lo so anch'io di quest'ultimo scomparso e anche di Domenico Pino", dice il sindaco Antonio Cugliotta. Di scomparsi, solo di scomparsi si parla sottovoce in questi giorni nel paese sulle montagne calabresi. In piazza. Nei vicoli che si inseguono fino ai boschi. Nella strada davanti al Papa Giovanni dove ora i 550 dipendenti, con anni di stipendi arretrati, protestano perché non arrivano più soldi dalla Regione. Dice il proprietario del bar "centrale" Amerino Sendelli: "Vivo qui da prima del 2000, tutti sanno di quelle scomparse e tutti tacciono per paura". Dice Francesco Provenzano, carpentiere: "Tutti hanno paura". Dicono tutti: "Tutti hanno paura". E' il mistero di Serra D'Aiello.
(Ha collaborato Anna Maria De Luca)

(10 marzo 2009)

domenica 8 marzo 2009

Soldi in regalo ai clienti

Bancomat impazzisce in via Tridente (Bari)


Ai clienti dello sportello Carime di via Tridente, al quartiere San Pasquale, non sembrava vero: le banconote consegnate dal bancomat erano il doppio di quelle richieste. La voce si è sparsa e i prelievi sono aumentati


www.repubblica.it

Aggressione

Napoli, aggressione razzista a ventiduenne
"Mi picchiavano e gridavano sporco negro"
Marco Beyenne, studente italo-etiope della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università L'Orientale di Napoli, ha denunciato l'aggressione subita in Piazza del Gesù in pieno centro

da "La Repubblica" dell'8/3/2009

mercoledì 4 febbraio 2009

Bossi Jr, Milano e il clima caraibico

La nomina del figlio del Senatùr alla Fiera: una storia alla Gabriel Garcia Marquez

La Lega, giurava anni fa Umberto Bossi, «assicura assoluta trasparenza contro ogni forma di clientelismo». Di più: «Non si barattano i valori-guida con una poltrona!». Di più ancora: «Dobbiamo essere in primo luogo inflessibili medici di noi stessi se vogliamo cambiare la società!». Bene, bravo, bis. Ma i figli, come dice Filomena Marturano, «so' piezz'e core». Così, quando si è trattato di dare vita all'«Osservatorio sulla trasparenza e l'efficacia del sistema fieristico lombardo », chi ha piazzato nel Comitato di presidenza? Suo figlio Renzo. Certo, l'approccio «mastelliano» alla raccomandazione («un peccato veniale», l'ha sempre definito Clemente) non è per il segretario della Lega una novità assoluta. Qualche anno fa, infatti, l'uomo che aveva fatto irruzione in politica tuonando contro il familismo, aveva già piazzato a Bruxelles il fratello Franco e il figlio Riccardo. Assunti come portaborse, il primo a carico di Matteo Salvini e il secondo di Francesco Speroni, evidentemente lieti di spendere «in famiglia» la prebenda di 12.750 euro al mese che ogni deputato riceve per l'attaché. Quali competenze avessero l'uno e l'altro non si sa e non si è mai avuto modo di approfondire: dopo la scoperta della doppia sistemazione parentale, ufficializzata dalla pubblicazione sul sito Internet www2.europarl.eu.int/assistants, le due nomine furono precipitosamente annullate. Meglio perdere un paio di stipendi che esporsi al rischio di mal di pancia dei leghisti di base allevati nel mito dei duri e puri.

Quanto alla competenza di Renzo Bossi nel nuovo incarico, il mistero è ancora più fitto. L'assessore regionale Davide Boni ha spiegato a Repubblica che la nomina del ragazzo è solo il primo passo: «Stanno scadendo i vertici e noi ci facciamo avanti perché la Fiera è troppo importante per Milano e l'intera Padania e perché la Lega esprime una classe politica di tutto rispetto». «E Renzo?» «Con lui la squadra non potrebbe essere più incisiva». L'affermazione, ovviamente del tutto estranea a ogni forma di leccapiedismo verso il Capo, è rassicurante. Fino a ieri, infatti, sulla statura del figlio del ministro delle Riforme esistevano due sentenze. Una emessa dai professori che l'hanno bocciato agli esami di maturità la prima, la seconda e poi ancora la terza volta che si è presentato, rendendo inutili tutti i ricorsi. L'altra emessa dal padre stesso il giorno in cui gli chiesero se Renzo fosse il suo delfino: «Delfino, delfino... Per ora è una trota». Battuta che fece nascere all'istante, su Internet, un «Renzo Trota fans club». Auguri, comunque. Al delfino salmonato e alla Fiera di Milano. Dopo tutto, può essere l'inizio di una brillante carriera. Del resto, negli staterelli caraibici, cose così capitano da un pezzo. Avete letto l'Autunno del patriarca di Gabriel García Márquez? Una delle scene indimenticabili è quella in cui la madre del dittatore, Bendicion Alvarado, nel vedere «suo figlio in uniforme d'etichetta con le medaglie d'oro e i guanti di raso» davanti al corpo diplomatico schierato al completo, non riesce a «reprimere l'impulso del suo orgoglio materno» e grida entusiasta: «Se io avessi saputo che mio figlio sarebbe diventato presidente della Repubblica lo avrei mandato a scuola!».

Gian Antonio Stella
04 febbraio 2009


www.corriere.it

martedì 3 febbraio 2009

Condannato a pagare le lenzuola

Disperato, senza orizzonti, solo con i suoi pensieri in quella cella. Il detenuto curdo decide di farla finita, riduce due federe a striscioline, si mette il cappio al collo. Ma ecco che le guardie del carcere triestino del Coroneo intuiscono la situazione, e all'ultimo momento lo salvano.

Storia a lieto fine? Sì, ma con multa. Lo Stato italiano rivuole i soldi delle federe. Sette euro. L'aspirante suicida, che nel frattempo è uscito di prigione e ha anche ottenuto asilo politico, rimborsa il dovuto e pensa che sia finita lì. E invece no. L'ingranaggio micidiale ormai si è messo in moto, come racconta Il Piccolo di Trieste. Sarà pure stato depresso e incline a lasciare questo mondo ma il curdo ha fatto a pezzi quelle due federe. Un magistrato lo rinvia a giudizio per danneggiamento aggravato. La motivazione è molto severa: "Con coscienza e volontà distruggeva un bene della Pubblica amministrazione".

In primo grado i giudici si convincono che non bastano i sette euro già risarciti, ci vuole una sanzione, deve rimanere agli atti che anche chi si suicida ha degli obblighi da rispettare, non può usare impunemente beni di proprietà altrui solo perché pressato dall'emergenza. Alla fine quantificano la multa: 30 euro.

Basta così? No, si va avanti. E' storia di pochi giorni fa. Il difensore del curdo ricorre in appello e chiede, in sintonia con il rappresentante della Procura generale, che il suo cliente venga assolto. In fondo, la situazione in cui si è prodotto il reato, cioè il danneggiamento delle federe, era stata drammatica, il detenuto si trovava in uno stato di evidente prostrazione, aveva deciso di porre termine ai suoi giorni, si era guardato intorno e quelle due federe gli erano sembrate l'unico modo di attuare l'insano proposito...

Tre magistrati si riuniscono in Camera di consiglio e discutono fra di loro del caso. Consulto delicato, forse anche tormentato. L'arringa dell'avvocato e la disponibilità dell'accusa non fanno breccia. La legge è la legge. Il curdo non può essere assolto. Arriva una nuova condanna. Però una crepa si è aperta. In appello la multa viene ritoccata: invece di trenta euro, ne bastano, a saldare il conto, venticinque. E' presto per conoscere le motivazioni della sentenza ma non appena arriverà non è affatto escluso che la faccenda delle federe approdi in Cassazione. E poi dicono che la giustizia non funziona.

Alessandra Longo - da Repubblica

domenica 1 febbraio 2009

Moschea

Stop alla moschea di Parma

La comunità islamica: discriminate le nostre preghiere

PARMA - Spogliata di tutto. Sono stati portati via i mobili e le sedie in legno, ma soprattutto il tappeto di 600 metri quadrati sui quali 5 volte al giorno pregano i quasi 300 musulmani di Parma. Se non fosse per qualche Corano appoggiato qua e là, ci vorrebbe un indovino per capire che quell'enorme capannone affogato in zona artigianale (1000 metri quadrati per 10 metri d'altezza) in realtà è una moschea. E pure nuova, con neanche un anno di vita. Desolatamente vuota, ora. Ma soprattutto priva di quel tappeto che, nel rito islamico, riveste un ruolo di particolare importanza, consentendo al fedele di non venire a contatto con le "impurità" del suolo.

Crociate leghiste? Petizioni? Macchè, per mandare al tappeto gli islamici di Parma è stato sufficiente aggrapparsi ad un cavillo normativo sulle norme antincendio. Da un sopralluogo dei vigili del fuoco è infatti risultato che la presenza del tappeto della preghiera (che contiene nylon), così come della mobilia e delle sedie in legno, poteva costituire un pericolo. Risultato: i vigili del fuoco hanno revocato il certificato di prevenzione incendi e l'assessorato all'urbanistica ha sospeso l'agibilità dei locali. Il problema è che di quel tipo di tappeti al nylon sono piene le moschee d'Italia. "A cominciare da quella di Roma, ma lì nessuno dice niente: e invece qui ci si attacca a tutto" ha denunciato alla "Gazzetta di Parma" il presidente degli islamici, Farid Mansouri, dando voce al risentimento dell'intera comunità: "Ci sentiamo discriminati. Noi non cerchiamo conflitti, ma abbiamo l'impressione che dietro l'applicazione di alcune norme si nasconda un odio nei nostri confronti". Senza considerare poi il danno: il tappeto incriminato è infatti costato 6 mila euro e ce ne vorranno "almeno 21 mila per acquistarne uno in regola".


da: www.corriere.it del 1 febbraio 2009

lunedì 26 gennaio 2009

Frana

Frana sulla Sa-Rc: due morti
I geologi: "Nostri allarmi inascoltati"



Gli allarmi inascoltati. "Più volte abbiamo lanciato l'allarme sulla devastazione del territorio calabrese, ma nessuno ci ha mai ascoltato. Ed ecco cosa succede", dice il presidente dell'Ordine dei geologi della Calabria, Paolo Cappadona. "Quello che è successo la scorsa notte è da terzo mondo. In Calabria c'è un territorio devastato, ma ogni volta che cerchiamo di sensibilizzare le istituzioni ci scontriamo con un muro di gomma".

giovedì 22 gennaio 2009

Venezia

Com'è caro fare pipì a Venezia
Ora costa tre euro al giorno

mercoledì 21 gennaio 2009

api

Moria delle api: pesticidi «essudati»
Nuove osservazioni sul ruolo dei neocotinoidi nella riduzione del numero di questi insetti



Bastano due minuti: un'ape beve le gocce d’acqua essudate da piante di mais trattate con i nuovi potenti insetticidi neonicotinoidi, e nel giro di soli due minuti cade a terra morta.


fonte:www.corriere.it del 21.01.2009

lunedì 19 gennaio 2009

conflitto israelo-palestinese

Les États-Unis humiliés par leur allié israélien

Telle que la raconte le premier ministre israélien, M. Ehud Olmert, l’histoire n’est pas flatteuse pour la Maison Blanche. Elle rappelle presque les diktats coloniaux. Un président qui interrompt son discours pour prendre au téléphone un premier ministre très courroucé. Le premier ministre somme le président de modifier sur le champ une décision que son pays s’apprête à prendre. Le président s’exécute, et puis reprend son discours…

Ainsi donc, apprenant que les Etats-Unis s’apprêtaient à voter la résolution du conseil de sécurité des Nations unies réclamant un cessez-le-feu immédiat à Gaza, M. Olmert aurait appelé le président George W. Bush, appris qu’il prononçait un discours, exigé qu’il l’interrompe, obtenu enfin de lui qu’il désavoue sa secrétaire d’Etat Mme Condoleezza Rice en changeant le vote américain favorable à la résolution des Nations Unies en abstention. Mme Rice fait démentir cette version, humiliante pour elle, M. Bush aussi. Sans convaincre.


Gli Stati Uniti umiliati dal loro alleato israeliano



Così come la racconta il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, la storia non è lusinghiera per la Casa Bianca. Essa ricorda quasi i diktat coloniali. Un presidente che interrompe un discorso per rispondere al telefono a un primo ministro molto arrabbiato. Il primo ministro impone al presidente di modificare immediatamente una decisione che il suo paese sta per prendere. Il presidente si scusa e poi riprende il discorso…

Pare che, avendo saputo che gli Stati Uniti, stessero per votare la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che reclamava un cessate- il –fuoco immediato a Gaza, il primo ministro Olmert , abbia chiamato il presidente Gorge W. Bush e saputo che stava pronunciando un discorso, gli abbia imposto d’interromperlo e ottenuto che smentisse la sua Segretaria di Stato Condoleezza Rice cambiando il voto americano favorevole alla risoluzione delle Nazioni Unite in astensione. C. Rice fa smentire questa versione, per lei umiliante. Anche G. Bush. Senza convincere.

Da: Le Monde Diplomatique del 14-01-2009

giovedì 15 gennaio 2009

caso Bonsu a Parma. Arrestati i vigili



Caso Bonsu, arrestati 4 vigili
Il sindaco ha sospeso tutti

Gli arresti avvenuti ieri sera verso le 20. In serata il sindaco ha dato mandato politico di sospendere tutti e dieci i vigili indagati nel caso Bonsu. Ai domiciliari sono finiti gli agenti Mirko Cremonini, Ferdinando Villani, Marcello Frattini e Pasquale Fratantuono


dal sito di Repubblica

infibulazione

" Se il problema della mutilazione genitale riguardasse gli uomini, tutto sarebbe già risolto"

Waris Dirie


" If genital mutilation were a problem affecting men, the mutter would long be setttled "


" Si la mutilación genital fuera un problema masculino, todo se hubiese resuelto ya
"

giovedì 8 gennaio 2009

Antisemitismo


L'ebreo moderno non può vivere senza l'antisemitismo. Se non c'è, fa di tutto per farlo nascere.

Isaac Bashevis Singer - Racconti (l'istruttore).

lunedì 5 gennaio 2009

Così va il mondo

La guerra tra israeliani e palestinesi è come la favola del lupo e dell'agnello:

Israele spara, uccide e tutti danno la colpa ai terroristi palestinesi.